martedì 31 maggio 2016

Naufraghi di ieri e di oggi



Pensavo solo a stare a galla ed era difficile per il mare mosso. Per il momento non si vede nessuna nave superstite, solo l’aereo che girava basso come un cane arrabbiato e buttò giù diversi salvagente. Dopo poco ritorna una nave e si ferma in mezzo ai naufraghi, ma io e qualcun altro eravamo già lontani.
Si sperava che venissero a prenderci, ma o non avevano i mezzi o era il mare cattivo. Intanto trovai un palo e mi rincuorai con la speranza che mi facesse da remo per avvicinarmi alla nave, ma invece comandavano le onde e non c’era niente da fare. Mentre lottavo con le onde, c’era un altro isolato a pochi metri da me e mi faceva compassione perché non aveva la ciambella ed io non sapevo avvicinarmi. Cercavo di fargli coraggio dicendogli: Non si vede ancora nessuno, ma verranno a prenderci. Ma quello non dava risposta… Poco più distante c’era una zattera con quattro naufraghi attaccati ai lati ed uno, arrampicato sopra, aveva la testa senza capelli per l’età; la testa bianca contro il colore scuro del mare faceva contrasto.
Quasi tre ore di quella lotta per la vita furono lunghe, saliva un groppo alla gola, tremito, crampi, raffreddore, proprio non si respirava più. Restavano ancora pochi minuti, invocavo la Madonna di Montenero, vedevo in faccia la morte, pensavo a casa. Quando finalmente arrivarono i soccorsi: una motobarca italiana arrivata per prima fece un giro a prendere gli isolati e quando la vidi mi venne spontaneo: “Questi sono angeli!”. Alzai quel palo che tenevo in mano per farmi vedere e loro voltarono nella mia direzione. Quando furono a pochi metri mi lanciarono la fune, ma io gli diedi il bastone e mi tirarono. Mi aggrappai, mi sollevarono e mi misero sulla barca, quando piangendo gli dissi: Grazie! Gli avrei baciati come santi! Dopo me, raccolsero l’altro ed altri cinque, come erano ridotti! Vomitavano, tremavano come vagli, pure io tremavo.
Nonostante che le onde rendessero difficile il navigare, ci si sentiva sicuri come su terra ferma. Si girò intorno ai naufraghi per rincuorarli e loro gridavano che si prendessero a bordo, ma eravamo già al completo ed i marinai gli gridavano soltanto: Si ritorna, stati tranquilli, state calmi, arrivano gli altri soccorsi.
Il naufrago che mi era vicino non aveva tregua dalla paura e dal tremito, aveva gli occhi chiusi e gli arreggevo le mani e la testa e gli dicevo: Stai calmo, siamo salvi, tutto è passato, siamo vicini al porto, fra poco siamo sulla terra, ringrazia il Buon Dio. Allora ci portarono noi alla nave ausiliaria. Con tanta pazienza, causa il mare grosso, gli andarono vicino e ci aiutarono a montare sulla scaletta. Per gli altri calarono un’altra barchetta e gli misero sopra per portarli su, perché erano mezzi morti. Dopo, la motobarca ritornò al grande e santo lavoro di salvataggio…

È il racconto del naufragio di mio padre, una pagina particolarmente cara alla mia famiglia, che leggo ancora una volta nel giorno anniversario della sua morte. La nave sulla quale compiva la traversata nel Mediterraneo, fu silurata. Sabato 17 aprile 1943. Erano tempi di guerra… Come adesso… Stessi drammi. Oggi più numerosi di allora.



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