mercoledì 15 giugno 2016

Conoscere i problemi nelle persone


Dopo uno dei recenti bombardamenti sulla città di Aleppo, che ancora una volta ha raso al suolo case e falcidiato persone, una bambina di nove, dieci anni passa davanti alla telecamera. Cammina svelta, si volge appena verso l’obiettivo, quanto basta per gridare nel pianto: “Che male abbiamo fatto?”. Mi è rimasta impressa negli occhi e mi è scesa nel cuore. In un attimo l’immane tragedia di una guerra per me lontana, ha il volto velato di quella bambina. Non è più soltanto un conflitto senza vie d’uscita, un intricato problema geopolitico, il frutto di concause sempre più difficile da districare, una convergenza di interesse economici. È semplicemente una bambina in lacrime, che ha perduto casa e familiari e che grida il suo disperato perché.
Non possiamo evadere da problemi di portata sempre più vasta che ci assediano in continuazione, sempre gli stessi e sempre nuovi: le guerre, i profughi, il terrorismo, ma anche la disoccupazione, la crisi economica… Il loro elenco si allunga di giorno in giorno, diventando oggetto di analisi, dibattiti… Rimangono irrisolvibili, anzi si aggravano. E se invece che ai problemi guardassi alle persone? Non vorrei sembrare semplicista. Lo studio dei fenomeni e la ricerca delle strategie, delle soluzioni politiche, dei compromessi è fondamentale. Ma senza perdere il contatto con le persone concrete. Come parlare del fenomeno carcerario se non si conoscono per nome almeno alcuni carcerati, le loro storie e quelle delle loro famiglie? Oppure dei profughi se non si è ascoltato lo sfogo di chi è dovuto fuggire lasciando una vita alle spalle?
Tanti talk show di radio e di televisione, come le discussioni di strada e di salotto, somigliano più a una esorcizzazione dei problemi che non a una loro reale assunzione. Per penetrarvi davvero e trovarne vie di soluzione mi pare indispensabile il contatto personale con chi vive in quei problemi. Allora acquistano un volto. Da problemi tornano ad essere persone. Lo so che questo non basta, che i problemi restano problemi e che occorre elaborare strategie di largo respiro. Conoscere e essere vicino a quel profugo, a quel disoccupato, a quella famiglia provata, o anche solo ascoltare quel “Che male abbiamo fatto?” della bambina irachena, può tuttavia accendere la creatività e accelerare il percorso verso le soluzioni.


Nessun commento:

Posta un commento