martedì 21 giugno 2016

Luigi Gonzaga, il giglio e la palma


In casa abbiamo un bel quadro raffigurante san Luigi Gonzaga, di cui oggi celebriamo la festa, con in mano un Crocifisso. Mi sembra la raffigurazione più adatta a descrivere la sua santità. Vi contemplava, come scrive egli stesso, «la bontà divina, mare senza fondo e senza confini», davanti alla quale «la mia mente si smarrisce». 
Manca invece, nel nostro quadro, un elemento dell’iconografia classica, il giglio, a  simboleggiare la purezza. Ma questa non è fine a se stessa, serve piuttosto per giungere ad avere lo sguardo puro che rende capace di riconoscere il volto di Cristo.
È grazie allo sguardo puro dell’amore che san Luigi riconobbe Cristo in un appestato abbandonato ai margini della strada, se lo prese sulle spalle, lo portò all’ospedale e ne rimase contagiato fino a morire.
Era spinto dall’amore stesso di Dio. «Il Dio che mi chiama – scriveva ancora – è Amore, come posso arginare questo amore, quando per farlo sarebbe troppo piccolo il mondo intero?».
Accanto al giglio occorrerebbe sempre tratteggiare anche la palma del martirio; il giglio che si tramuta in palma.

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