domenica 9 ottobre 2016

A Palermo con i martiri Oblati




Sabato, domenica, lunedì, 8-10 ottobre, appuntamento a Palermo per celebrare i 200 anni degli Oblati.

Non ero mai stato sui tetti della cattedrale di Palermo: uno spettacolo indimenticabile. Le torri possenti e finemente lavorate le puoi toccare, mentre attorno l’arco delle montagne avvolge la città, la conca d’oro, con disegno irregolare e colori contrastanti.

Non sono giorni di visita questi, ma non posso chiudere gli occhi e la bellezza continua ad attirarmi, senza distrarmi dai compiti che mi hanno portato qui. Così ho potuto ammirare la chiesa di san Francesco del 1200 e l’ancora più antica chiesa normanna di Santa Cristina La Vetere, dove la Compagnia della Santissima Trinità dei rossi accoglieva i pellegrini diretti a Roma. I locali attigui a questa chiesa medievale oggi non accolgono più i pellegrini, ma i lavori immigrati dalle Filippine, Isole Mauritius, Gana…, che si ritrovano la domenica per stare insieme. Ho pranzato con loro, assaggiando i piatti più vari che ognuno porta con sé, dopo che con loro avevo celebrato nella chiesa della Madonna delle Grazie, un altro gioiello architettonico, questa volta rinascimentale (non a caso era la chiesa dei Fiorentini!).


Tutta all’insegna degli immigrati queste due prime giornate, che mi hanno visto anche nella chiesa di san Giuseppe da Copertino, stracolma di srilankesi, che pregano e cantano nella loro lingua, isola etnica all’interno di una Palermo multietnica. L’Oblato Vimal è il loro parroco: una parrocchia di 3.000 cattolici. Questa è la caratteristica della comunità oblata di Palermo: il lavoro tra gli immigrati. Tra l'altro Padre Sergio è il responsabile della Migrantes della diocesi di Palermo.

Ma ho parlato anche nella parrocchia dove risiede la comunità, nella periferia, proprio alle falde delle montagne, in mezzo agli aranceti. E questa volta erano tutti persone del luogo: gli immigranti si concentrano tutti nel centro storico.


Ho raccontato soprattutto la storia di santità costruita in questi anni anni degli Oblati, a cominciare dai più di 80 martiri. L'interesse e l'attenzione sono stati al di sopra delle aspettative.
Come ha scritto Maurizio Giorgianni nel suo bel libro, Il martirio “carisma” della missione, Frascati 1994, «il martirio della carità è lo spirito portante dell’oblazione. Esso confluisce nelle Regole e nella spiritualità oblata come stile del vivere la missione. Diversi Oblati hanno vissuto il martirio di sangue, o hanno avuto una coscienza martiriale nel loro modo di svolgere la missione.
La croce ed il mistero del martirio di Cristo sono al centro della nostra missione così da vedere attraverso lo sguardo di Cristo crocifisso sia il mondo destinatario dell’annuncio sia la nostra missione, che è portare in noi la morte di Gesù perché la vita di Gesù si manifesti per essere veramente corredentori.

Il martirio è quella “bella testimonianza” (cfr. 1Tm 6, 13) che rende immediatamente intelligibile il messaggio che porta. Lì dove il dialogo e l’annuncio non sono possibili verbalmente, l’unica forma di annuncio diviene la vita. L’annuncio sarà tanto più forte e coinvolgente quanto più verrà messa in gioco la vita di colui che annuncia, fino al dono supremo attraverso il martirio.
Il martirio del missionario che condivide, patisce ogni difficoltà, compresa quella della delusione quando non vede fiorire nulla, è quel seme che marcisce per portare la vita, che lo rende attento in maniera particolare alla voce dello Spirito e che rende presente il messaggio: Cristo. Cristo parla ad ogni uomo di qualsiasi cultura e razza in maniera efficace attraverso i “nuovi martiri” che lo rendono mistericamente presente».

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