sabato 19 novembre 2016

Cristo nostro re

I soldati lo deridevano e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui
c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
(Lc 23, 35-43)

Ormai lo sanno tutti che è un re: Pilato, Erode, la guarnigione romana, la folla... Ma lo ritengono un illuso, un pazzo, un re da burla.
E invece è re davvero, anche se non secondo i nostri modelli.
I re comandano e si fanno servire, mentre Gesù è venuto per servire. I re hanno sempre i primi posti ed egli ha scelto l’ultimo. I re sono potenti (prepotenti?) ed egli mite e umile di cuore. I re hanno la guardia del corpo e l’esercito per difendersi ed egli è solo e indifeso e si lasci prendere la vita.
Anzi, di più, la vita non se la lascia prendere, come sembra a chi ti sta attorno. Tu la vita la dà per il suo popolo, volentieri e liberamente. Qui sta la differenza e il segreto della sua regalità.
«Salva te stesso»? No, rinuncia a salvare se stesso per salvare il suo popolo. Come pastore buono dà la vita per il suo gregge.
Egli muore al posto nostro. A lui la morte, a noi la vita. A lui l’ignominia, a noi la gloria. Egli scende dal trono per innalzarvi noi. Si fa servo per fare di noi dei re.
Se ci fai re dovremmo agire come lui e dare la vita per gli altri, come lui la dà...
La sua regalità consiste nell’amare e non c’è amore più grande di chi dà la vita per gli amici. La dà
per ognuno di noi, che non consideri “sudditi” ma “amici”.
Sulla croce, innalzato tra cielo e terra, attira tutti a sé e fa nascere il popolo nuovo, che introduce nel suo regno. Il primo a entrarvi è un assassino, un condannato a morte. Ma ha saputo rivolgergli le parole giuste. Non gli ha detto, come gli altri, «Salva te stesso», ma «Salvami, ricordati di me». È il solo che riconosca veramente la sua regalità. A un re infatti si chiede clemenza e un condannato a morte domanda di essere graziato.
È quello che faccio anch’io quest’oggi: sono un “dis-graziato”, senza grazia, un peccatore degno di condanna. «È giusta la nostra condanna», ripeto con il buon ladrone. Per questo mi trovo nella condizione di chiedere la grazia. Lo faccio perché lo riconosco il mio re, onnipotente e pieno di amore e a lui mi rimetto con fiducia e speranza.
«Oggi», ha detto dal malfattore. «Oggi», ripeti a tutti noi: non inizia a regnare nell’altra vita, ma fin da ora, da «oggi»!


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