martedì 8 novembre 2016

Mario Borzaga e Paul Thoj Xyooj beati



È appena apparsa in libreria, una nuova edizione del mio libro Il sogno e la realtà, Beato Mario Borzaga martire, Ancora, Milano 2016, 178 p.
Ho potuto così raccontare i particolari del martirio del padre Mario Borzaga beato, assieme al catechista Paul Thoj Xyooj, che quando scrissi nel 2000 ancora non si conoscevano:

Padre Mario e il suo catechista, dopo essere partiti quel 25 aprile 1960 da Kiukatian verso Pha Xoua, sono spariti nel nulla. Proprio da allora, lentamente, padre Mario si fa sempre più presente nel ricordo dei suoi amici. È un crescendo di interesse per questo giovane missionario, considerato un martire. Sei anni dopo la scomparsa, p. Gaetano Drago pubblica un volume che raccoglie 99 lettere indirizzate alla sorella: Un eroe del Laos.  Nel 1985 appare il suo diario, Diario di un uomo felice, che riscuote uno straordinario successo e lo fa conoscere bel al di là della sua Trento e della famiglia dei Missionari Oblati. La sua esperienza esercita una forte attrattiva su tanti giovani, è conosciuta nei seminari, nei monasteri di clausura. Così il 5 novembre 1997 il Consiglio generale degli Oblati decide di iniziare l’itinerario per il riconoscimento della sua santità, assieme a quelle di altri 5 missionari Oblati martiri nel Laos. Nel 2004 il Superiore generale comunica ai vescovi del Laos che gli Oblati italiani e francesi si rendono responsabili della Causa dei “Martiri del Laos”, lasciando tuttavia che l’itinerario verso la beatificazione di padre Mario proceda separatamente rispetto a quello degli altri martiri. Nello stesso tempo alla figura di padre Mario di associa quella del catechista Paul Thoj Xyooj (leggi Siong), un fatto che, dopo 45 anni di silenzio, permette in maniera insperata di alzare un velo sul mistero del martirio dei due.
Il giovane catechista, di origine hmong, era poco noto, anche se nel diario di padre Mario il suo nome torna più volte. Quando scomparve nella foresta aveva 19 anni. Nel 1957, a 16 anni, era entrato nel seminario di Paksane che presto lasciò per motivi di salute. Tornato nel suo villaggio natale di Kiukatian, si pose a servizio dei missionari come catechista zelante e disponibile, insegnando il cristianesimo. Grazie a lui furono ottenute molte conversioni.  Gli ultimi tre mesi era accanto a padre Mario a Kiukatian.
Quasi sconosciuto agli italiani, il catechista era invece rimasto nel cuore della sua gente. P. Angelo Pelis, già missionario nel Laos e poi incaricato di raccogliere la documentazione per la causa di beatificazione, identifica una sua foto, permettendo così di dare un volto a Paul Thoj Xyooj, un bel giovane sorridente. La diffonde tra i Hmong che in questi anni hanno lasciato il Paese e si sono stabiliti in Tailandia, Francia, Stati Uniti… A tutti fa sapere la volontà di lavorare perché venga riconosciuta la santità di questo figlio della loro terrà. “Uno di noi santo?”. L’interesse si fa fortissimo e finalmente, chi sa comincia a parlare.

Un giovane quindicenne, che si trovava in foresta a caccia, racconta di essere stato richiamato da alcune grida. Nascosto tra la boscaglia, riconosce padre Mario e Xyooj con le mani legate dietro la schiena. «Spinti dai soldati, salivano per il sentiero e dove questo si biforca si sono fermati. I soldati hanno tolto la camicia ai prigionieri e li hanno costretti a inginocchiarsi. Li hanno colpiti con il calcio del fucile gridando contro di loro. Il padre parlava in una lingua sconosciuta poi è rimasto in silenzio, coperto di sangue. Invece Xyooj, che parlava e rispondeva, è stato colpito più e più volte con il calcio del fucile, sulla testa, le orecchie, tutto il corpo, al punto da sanguinare da ogni parte…
Uno dei soldati ha gridato a Xyooj: “Vai subito via”, ma egli ha risposto: “No, non vado, resto con il Padre. Se io parto, lui viene con me, se lui non parte, io resto con lui.
Un altro gli ha gridato: “Dato che non vuol partire, uccidiamolo assieme all’altro”.
Un’altra persona gli ha gridato: “Tu sei responsabile di aver portato questo diavolo e di aver convinto in un giorno più di 10 famiglie a seguirlo”».
Il testimone sente Xyooj pregare in Hmong: “O Dio, proteggi noi e proteggi il nostro destino; tu li vedi e tu vedi quello che stanno per fare”.
Qualcuno dei soldati proponeva di ucciderli sul posto e di gettarli nel fosso accanto, altri pensavano che fosse un luogo troppo esposto. Li hanno quindi obbligati ad alzarsi e tenendoli per le braccia li hanno spinti più lontano, verso un luogo più nascosto. Il testimone li ha così perduti di vista. Anni più tardi, in Francia, ha riconosciuto uno di questi soldati…
Un altro soldato è stato sentito raccontare alcune delle sue bravate, tra cui l’uccisione di una “spia americana” accompagnata da un Hmong. «Li abbiamo costretti a scavare una fossa… Io ho sparato loro. Il Hmong morì sul colpo, ma l’americano, caduto nella fossa, cominciò a gridare: “Perché avete sparato a un padre?”. Senza aspettare li abbiamo ricoperti di terra».
Una dopo l’altra, varie testimonianza tracciano il profilo del catechista: «Sono convinto che Xyooj è morto a causa della sua fede – racconta un giovane di allora –. Insegnava la fede senza altri fini. Era puro. Ha dato la vita per l’ideale che viveva. La zona dove sono scomparsi era molto pericolosa, lo sapevano con certezza, ma vi sono andati ugualmente per compiere la loro missione…. Xyooj ha attuato in tutto il vangelo che insegnava. Il suo sangue e quello di padre Mario è stato versato è per Dio».
I nipoti di Xyooj hanno riferito quello che raccontava loro il padre, fratello maggiore del catechista: «Nostro padre ci diceva che da quando il Missionario era venuto ad annunziare il Vangelo al villaggio, suo fratello minore, Xyooj, si era innamorato del Vangelo. Lo zio Xyooj amava grandemente la religione e per questo andava con il Padre ad annunziarla e ad insegnarla ad un villaggio all’altro, ovunque il Padre andava… Nostro padre ci ripeteva che lo zio amava veramente la religione e amava andare sempre ad aiutare il Missionario nei suoi giri apostolici. Questo è il solo motivo per il quale i comunisti l’hanno preso e fatto sparire».
Altri ancora testimoniano la stessa passione per la fede del catechista, e la consapevolezza della possibilità di martirio: «Xyooj parlava sovente della morte per causa della dottrina del Cielo. Diceva che, per le sofferenze che subiremo – perché ci perseguiteranno a causa della nostra fede –, il giorno in cui il Signore ci chiamerà andremo in Cielo».


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