sabato 30 aprile 2016

Karel, da Praga per darsi tutto a Dio


Karel František Štěpán Mec, di Praga.
Nella Cecoslovacchia, ancora negli anni ’80, chi si pubblicamente dichiarava cristiano rischiava d’essere licenziato dal  lavoro o dall’università. Ciononostante, i genitori di Karel rimanevano attivi nella Chiesa cattolica “sotterranea”. Collaboravano con un Gesuita al quale il governo aveva tolto il permesso di esercitare la pastorale. Il papà lo portava in macchina dai fedeli e agli incontri, la mamma distribuiva scritti cattolici proibiti - riviste, documenti del Concilio Vaticano II, scritti spirituali - tutti copiati con una vecchia macchina da scrivere.
Per lungo tempo, io e mia sorella maggiore, non sapevamo quasi niente di tutto ciò. Soltanto quando eravamo già grandi, i genitori ci hanno raccontato le loro storie. Tre anni dopo la mia nascita, nell’autunno 1989 è crollato il sistema comunista in Europa e la Chiesa poteva di nuovo respirare liberamente. Sono nate altre due sorelle e un fratello”.
Il sacerdote continuava le “messe domestiche”, tutti seduti attorno a un tavolo, come nel cenacolo; dopo la messa la cena e la condivisione di notizie, della fede, delle preoccupazioni ecc.
Questi incontri hanno formato molto sia il mio rapporto con Gesù Cristo nell’Eucaristia sia la mia comprensione della Chiesa”.

Dopo l’esame di maturità Karel studia biologia a Praga e si laurea. “Intendevo specializzarmi in entomologia per diventare uno scienziato. Ma durante gli studi ho sentito la vocazione alla vita consacrata e al sacerdozio. La biologia non offriva un senso abbastanza profondo alla mia vita e non soddisfaceva la mia sete di servire in qualche modo la gente”.
In quel periodo conosce per prima volta gli Oblati, grazie a una rivista per giovani. Legge alcuni articoli sulle missioni oblate nel Nord di Canada e in Haiti e sulla vita nel noviziato. “Informazioni che mi hanno interessato, ma solo qualche tempo dopo, durante la preghiera per riconoscere la mia strada, me ne sono ricordato e ho sentito una grande attrazione per la vita missionaria. Mi sono messo in contatto con gli Oblati presenti nella Repubblica Ceca. Così ho scoperto la loro vita comunitaria, il fondatore Sant’Eugenio e anche il loro modo di fare missione sia in parrocchie sia tra i senzatetto, tra gli zingari e con i giovani”.
Domani, 1° maggio, il nostro Karel, che adesso studia qui a Roma, nella nostra casa, fare la sua oblazione perpetua, donandosi tutto e per sempre a Dio e alla missione.


venerdì 29 aprile 2016

Prato, “ricca di storia e di bellezza”.




Prato, «questa città, ricca di storia e di bellezza» - parola di papa Francesco! – oggi l’ho vista con gli occhi di Zygmond, e con gli occhi dell’amico, con gli occhi della condivisione, è ancora più bella.




Non solo, ma in questo giorno che celebra i 30 anni di internet, per la prima volta ho fatto addirittura il mio primo selfie! Ci manca solo che mi compri l’asta…

giovedì 28 aprile 2016

Un’immagine sbagliata?


Sabato scorso abbiamo avuto l’ordinazione diaconale di Jacquot Rafenomananntsoa. 
La casa si è riempita di malgasci, maestri nel cantare e nel danzare. Una festa!

Mi ha colpito l’immagine disegnata sul foglietto della celebrazione.
La posto di Gesù che lava i piedi a un discepolo (di solito è rappresentato Pietro), vi è rappresentato un diacono che lava i piedi… a Gesù!
Era Gesù che ha lavato i piedi e non ha chiesto che lavassero i piedi a lui; piuttosto ha detto di lavarsi i piedi gli uni gli altri.
Icona sbagliata?

O forse che l’ha dipinta ha pensato che servendo qualsiasi persona – di cui la lavanda dei piedi è segno – si serve Gesù?

mercoledì 27 aprile 2016

Pane e Paradiso



Padre Deschâtelets benedice la prima pietra
Padre Gaetano Drago in primo piano
Lavorando in Archivio mi sono imbattuto casualmente su un diario che racconta la posa della prima pietra della casa generalizia degli Oblati qui a Roma.
Padre Gaetano Drago era andato a prenderla nientemeno che dalla facciata della chiesa della Missione ad Aix, là dove tutto ero iniziato.  
(Tra l'altro il 28 marzo è l'anniversario della sua morte, avvenuta nel 1973)
Per la posa della prima pietra padre Drago si indirizzo agli Oblati presenti e agli operai edili. Tra l’altro disse:

Amici cari, il 21 maggio 1861, 88 anni fa come oggi, rendeva la sua bell'anima al Creatore quel gran servo di Dio che fu il Fondatore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata (…). Ai suoi figli lasciava come eredità spirituale e programma di vita di andare ai più poveri e abbandonati. Il suo gran cuore aveva abbracciato il mondò intero. Ed ora, i suoi figli, seguendo il suo esempio, si sono sparsi per tutta la terra per convertire gli infedeli a Dio, e dar loro norme e leggi del vivere civile. Voi li trovate nelle terre tropicali dell'Africa e dell'Asia; li trovate nelle terre polari, agli estremi confini della terra, dove il freddo scende fino a 50-60 gradi sotto zero, e vivono nelle casette di neve come gli Esquimesi, si vestono di pelli come loro, si cibano di carne cruda e di grasso per conservare le calorie indispensabili alla vita; e questo per convertire a Dio quei poveri esseri, di tutti i più poveri e abbandonati. (…)



Padre Drago parla agli operai
Ma io non voglio farvi il panegirico del Fondatore degli Oblati e dell'opera sua; non è questo il luogo e il tempo. Oggi vorrei piuttosto far l'elogio della bella fabbrica che state costruendo colle vostre mani e che si alza di giorno in giorno forte e bella. Dalla casa che voi state costruendo sarà governata la grande famiglia religiosa dei Missionari Oblati; questa casa sarà come il cervello di un grande organismo i cui membri si trovano sparsi per tutto il mondo, impegnati a tutte le opere di bene nei paesi cristiani, nei paesi infedeli. E voi, costruendo questa casa, cooperate in qualche modo al bene che vi si farà.
E non è forse una soddisfazione per lo spirito il collaborare anche materialmente a una opera di bene?
È forse la stessa cosa per voi il costruire una casa di giuoco e di divertimenti destinate a persone degenerate dal vizio e che vivono al margine della società senza occuparsi di essa, o il costruire una scuola per i vostri bambini, un ospedale per i vostri ammalati, una chiesa dove l'anima stanca dalla lotta giornaliera ritrova la calma e le forze nel Signore che l'ha creato e la sostiene?
Dirà qualcuno: a me poco importa la destinazione della casa ch'io costruisco, purché lavori e guadagni.
Ma nessuno di voi mi negherà che lo spirito ha più soddisfazione quando il lavoro compiuto è per il pubblico. E non ricordate l'entusiasmo dei nostri antichi padri quando popolazioni intere, in una gara meravigliosa di generosità e di fede lavorarono insieme alla costruzione delle meravigliose cattedrali, insuperate nella loro bellezza appunto perché sono un prodotto dello spirito?
Non è forse vero che un ideale spinge l'anima nostra ai voli più alti?
E l'ideale ci vuole. Il negare i valori dello spirito sarebbe il volere equiparare l'uomo al bruto, che non ha latro scopo nella vita che quello di nutrirsi.
Dottrine assurde e insane quelle di coloro che negano i valori dello spirito e livellano l'uomo alla beata.

San Francesco, andando in giro, s'imbatté un giorno in un muratore.
-    Dio vi aiuti, compare, che cosa fate?
-    Sto murando, non vedete?
-    E perché murate?
-    Per guadagnarmi il pane.
-    Solo per questo?
-    E anche un po' di vino: ci vuole!
-    E solo per questo?
-    Ho famiglia e se non lavoro i figli non mangiano.
-    E solo per questo voi lavorate?
-    Messere, vedo che avete tempo da perdere, ma io ho il mio lavoro.
-    Fratello mio carissimo, gli disse allora S. Francesco con immensa dolcezza, voi bruciate al sole, vi pestate le mani, fate vita molto grama solo per questa povera vita materiale. Non pensate che con lo stesso lavoro potete guadagnarvi il paradiso, oltre che il pane, solo che voi lo facciate per amor di Dio. E dunque lavorate per amor di Dio e avrete pane e paradiso.
E andandosene, si voltò indietro e lo salutò dicendo: Ricordate, pane e paradiso.
Anche noi, carissimi operai, faremo lo stesso augurio per voi: Pane e Paradiso!

martedì 26 aprile 2016

Pierre Fallaize, una vita per gli eschimesi



Mi è capitato casualmente tra mano un libro tradotto e pubblicato 40 anni fa da Città Nuova: Inunuak, una vita per gli eschimesi, di Roger Buillard. È la biografia di uno dei missionari nel Nord Ovest canadese, Pierre Fallaize. L’ho letto d’un fiato.
Sette anni con gli indiani, poi sette come nomade con gli eschimesi, mangiando come loro, patendo la fame come loro, con sulle spalle tutti i suoi averi, percorrendo migliaia di chilometri a caccia e pesca, vivendo negli iglù e sotto le tende, desidero, emarginato, minacciato costantemente di morte. Poi finalmente la fondazione di una missione residenziale a Coppermine, la nomina a vescovo, il ritiro in Francia per la progressiva cecità e sordità dovute alle fatiche disumane e agli stenti. Venti anni in confessionale a Lisieux, accogliendo i pellegrini che visitano la tomba di santa Teresina. Quando la sordità arriva al punto che non gli consente più di ascoltare le confessioni, torna a morire tra la sua gente, gli indiani e gli eschimesi del nord Canada.
Una vita incredibile da parere un romanzo e invece verissima. Soprattutto gli anni passati con gli eschimesi sono di una atrocità spaventosa.

Gli Oblati hanno impiegato 60 anni per cogliere le prime conversione tra gli eschimesi. Padre Grollier arrivò per primo al circolo polare nel 1860 e vi morì senza vedere niente. Nel 1862 lo sostituisce padre Seguin: “Inconvertibili”. Poi padre Petitot nel 1862: “Parto spezzato”. Nel 1872 i padri Clut e Lecorre. Nel 1891 tocca a padre Lefèvre: “Impossibile addomesticarli”. Siamo al 1911 quando arrivano i padri Rouvière e Le Roux. Due anni dopo sono trucidati, primi martiri del Polo. È la volta del padre Frapsauce. Dopo tre anni, nel 1920, il nostro padre Pierre Fallaize viene mandato in suo aiuto. Il 2 agosto 1920 scrive:
In viaggio verso la nuova missione degli Eschimesi del grande Lago degli Orsi. […] Dopo l’uccisione, da parte degli Eschimesi, dei nostri rimpianti padri Rouvière e LeRoux, Mons. Breynat ha visto in questa prova non un fallimento ma la certezza del successo, perché il sangue dei martiri è seme di cristiani. Per questo ha deciso di riprendere immediatamente l’opera designando me e p. Frapsauce. […]
Sono partito dalla missione di Résolution in compagnia di un piccolo Eschimese di una quindicina d’anni […]. Abbiamo incontrato anche cinque Eschimesi con i quali viaggiamo insieme. Tra di loro anche il più mite tra gli assassini dei nostri padri. È venuto a darmi la mano, che ho stretto con sentimenti un po’ contrastanti. […] È stato rilasciato dopo due anni di prigionia. Per vendicarci, cercheremo di salvare la sua anima.


Padre Pierre sulla tomba dei padri Rouvière e Le Roux
Compie un viaggio di 600 chilometri in due mesi in condizioni difficilissime. Quando giunge finalmente dalla baracca di padre Frapsauce nessuno ad attenderlo. Segue le traccia della slitta che conduce dove il ghiaccio è visibilmente rotto e ha inghiottito cani, slitta e missionario…
Padre Pierre deve ricominciare tutto e da solo. Chi li ferma questi missionari intrepidi, chi li scoraggia? Epopee d’altri tempi…

Il 1° gennaio 1921 scrive al Superiore generale:
Dal paese senza sole vi invio il mio augurio di un nuovo, felice, santo anno. I nostri saluti non hanno subìto minimamente l’influsso dell’ambiente dove tutto è ghiacciato; al contrario, i nostri cuori – che hanno bisogno di produrre un ingente sovrappiù di calore fisico per resistere alle temperature estreme, e un calore spirituale per avvolgere con la carità gli Eschimesi che incontriamo – possono donarvi soltanto caldi e ardenti voti.
Vorremmo potervi offrire un mazzo di fiori in occasione del primo giorno dell’anno. Ma i fiori non possono assolutamente sbocciano a 66 gradi Fahrenheit sotto zero. Inoltre il suolo che abitiamo è interamente roccioso.
Tuttavia in questa parte e arida e fredda del campo del Padre di famiglia, irrigato dal sudore e dal sangue dei nostri martiri, la buona semente è germogliata, è cresciuta e fiorita. Sono appena arrivato in tempo per cogliere e offrirci i primi fiori artici. […]
La mia parrocchia eschimese conta attualmente sei fedeli; ne ho battezzati cinque a Natale. Spero di raddoppiare il numero prima della primavera […].

Sono passati esattamente 60 anni da quando padre Grollier aveva raggiunto il Circolo Polare Artico.
Il segreto? Forse è nascosto nelle parole dell’ormai anziano, cieco e sordo, mons. Pierre Fallaize:
Essere un santo, è il solo modo di arrivare alla anime, è il più facile.
Il religiosi e il missionari non posso fare del bene alle anime se non nella misura in cui la loro unione con Cristo si è realizzata! Le nostre fatiche sono nulla e i nostri successi ancor meno, se prima di tutto non siamo uomini di Dio.


lunedì 25 aprile 2016

Effetto Mariapoli



La Mariapoli è terminata, si esce da Villa Borghese e si torna per le strade di Roma. La prima sorpresa è trovare il pulmino del Gen Verde svaligiato. Roma è anche questa. Ci scoraggia? Ma la Mariapoli è sorta proprio per questa Roma, con la fiducia di iniettarvi uno spirito nuovo.
Di nuovo c’è soprattutto l’aver messo insieme tanti gruppi e associazioni, un centinaio, che già lavorano per dare una mano alla resurrezione di Roma. Sono iniziative piccole e grandi, persone che si guardano attorno a si danno da fare. Come quell’amico, di cui Antonia ha raccontato al papa, che, invitato a mettersi in gioco con la sua associazione, ha risposto a telefono: «Ma la mia associazione va avanti con la mia pensione, non abbiamo né loghi né cose del genere».


Eppure c’è chi apre una mensa familiare per i senza tetto, chi si interessa degli ammalati più bisognosi, chi aiuta profughi e rifugiati, chi lavora per la legalità, l’ecologia, la politica… Perché non mettersi in rete per aiutarsi con le competenze, le esperienze? E chi può farlo meglio del Focolare che ha un carisma proprio per l’unità?


Le piccole iniziative di questi quattro giorni in Mariapoli sono un segno: i bambini Rom invitati a giocare con gli altri (poi nel campo tutti hanno voluto vedere le foto, sapere…), le visita a famiglie di carcerati, i dialoghi su temi formativi e problemi di attualità, la condivisione di progetti…
Un soffio d’aria fresca e pulita per questa nostra città, la voglia di impegnarsi, di coltivare i rapporti costruiti e di farne nascere di nuovi, di lavorare insieme per quell’utopia di un mondo unito che, dopo questi giorni di esperienza, è un po’ meno utopia e più realtà.


domenica 24 aprile 2016

Il papa in Mariapoli



“Sentendo voi parlare mi sono venute due immagini: il deserto e la foresta. Io ho pensato: questa gente, tutti voi, prendono il deserto per trasformarlo in foresta. Vanno dove c'è deserto e non c'è speranza, e fanno cose che fanno diventare foresta questo deserto”.

È la sorprendente scoperta di papa Francesco nell’ascoltare le positive esperienze concrete vissute dalla nostra gente a Roma, tra i carcerati e con i figli e le famiglie dei carcerati, con i profughi, con il gioco d’azzardo…

Sì, perché questo pomeriggio abbiamo avuto il papa in Mariapoli!
In sessant'anni si sono visti passare in Mariapoli politici, magistrati, capi di stato, regine, ma mai un papa.
È venuto alla chetichella, come suo costume, su una macchina normale, senza alcun apparato al seguito. Ed è esplosa la festa nella festa!
Il papa è sempre il papa, e papa Francesco un papa al quadrato.

Ha trovato la gente della Mariapoli, ma anche altri, come gli amici della giornata della terra, del progetto Erasmus, dell’integrazione sportiva dei rifugiati della Luiss… Le esperienze provenivano dalle diverse organizzazioni senza soluzione di continuità, a testimoniare una condivisione di ideali e di progetti.
È questa una delle grandi novità della Mariapoli di Roma 2016: coinvolgere e lasciarsi coinvolgere con e da gruppi molto diversi con i quali si può lavorare insieme.
Non si può trasformare altrimenti il deserto in foresta: occorre mettersi insieme!

sabato 23 aprile 2016

Musulmani e cristiani in Mariapoli a Villa Borghese




La Mariapoli è di tutti, anche dei musulmani.
Oggi erano sul palco, assieme ai cristiani, per testimoniare che l’impossibile dialogo è possibile.
Ingenuità focolarina o fede evangelica?
Una fede che crede, al di là delle cattiverie e dei fallimenti, nella fraternità tra uomini, donne e popoli di religione diverse, nell’unità nella diversità, nel lavoro per la casa e la causa comune.
Segno vivo di speranza, fatto di esperienze concrete di conoscenza, collaborazione reciproca, amicizia.


venerdì 22 aprile 2016

Mariapoli a Villa Borghese



Questa mattina ha preso il via la Mariapoli a Villa Borghese. Un’iniziativa tutta nuova, vissuta nel cuore della città, aperta a tutti.
Ci siamo incontrati in un piccolo gruppetto su un prato del parco, pugnetto di lievito nella grande massa che in questi quattro giorni si muoverà attorno a mille eventi.
Nuova nella formula è antica nella sua idealità e nei suoi obiettivi: creare rapporti nuovi, personali, veri in una città nella quale ci si ripiega sempre più su se stessi tappati da una cuffietta attaccata allo smartphone; puntare ad uno stile di vita improntato sulla semplicità, la gioia, il dono, contro l’imbarbarimento e la volgarità dei costumi; ridare la possibilità a Gesù di tornare a camminare tra gli uomini e ridire parole vere di speranza e di vita.


giovedì 21 aprile 2016

Papa Francesco nella Metro di Roma






Nello squallore dell'entrata alla stazione metro di Piazza di Spagna, questa sera, accanto ai soliti graffiti angoscianti, ho visto un murale simpatico come lo è papa Francesco: papa Francesco, appunto!

In questo anniversario della nascita di Roma, mi è sembrato un'irruzione di speranza.
Sembra dire: “Noi, che abbiamo la gioia di accorgerci che non siamo orfani, che abbiamo un Padre, possiamo essere indifferenti verso questa città che ci chiede, forse anche inconsapevolmente, senza saperlo, una speranza che l’aiuti a guardare il futuro con maggiore fiducia e serenità? Noi non possiamo essere indifferenti”.

mercoledì 20 aprile 2016

21 aprile: tra Natale di Roma e Natale di Cristo



La grandezza di Roma stava e sta nella sua storia millenaria, nei suoi monumenti, nella sua cultura giuridica e letteraria. Tutto è iniziato il 21 aprile 753 avanti Cristo.
È proprio questo riferimento, nella stessa datazione di nascita, a Cristo, che rompe l’incanto dell’antica Roma. Il riferimento non è più al Natale di Roma, ma al Natale di Cristo. Che vogliamo farci, quest’ultimo è una realtà troppo forte!
Domani a Roma si lavora. Si fa festa invece il 29 giugno, per i santi patroni della città, Pietro e Paolo: hanno soppiantato Romolo e Remo.
Quando i pellegrini si partivano da capo al mondo per venire alla città santa, non venivano per ammirare i resti del Colosseo e degli antichi templi o per ricordare le gesta degli imperatori, ma per pregare sulla tomba di Pietro.
Vi torno anch’io per sperimentare, ancora una volta, la misericordia di Dio.
“Simone di Giovanni – gli domandò Gesù nel lago dopo la risurrezione – mi vuoi bene?”. Glielo chiese per tre volte e per tre volte Pietro gli rispose che lo amava, che lo amava veramente. Tre volte, quasi a cancellare le tre volte che lo aveva rinnegato.
La tomba di Pietro è la testimonianza dell’infinita misericordia di Dio verso di noi. “Allontanati da me, perché sono un peccatore”, aveva detto Simone a Gesù dopo la prima pesca miracolosa. Proprio perché peccatore Gesù non si allontana da lui. Non è venuto proprio per pubblicani e peccatori?
Pietro l’ha ben capito se nella sua prima lettera scrive che «Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti» (3, 18), e che «dalle sue piaghe siete stati guariti» (2, 25).


martedì 19 aprile 2016

Il breviario di Luigi Edmond



Louis Edmond era il braccio destro di padre Lelièvre, il grande apostolo del Québec. Insieme avevano creato un vivace movimento operaio cristiano che coinvolse migliaia di uomini, organizzato ritiri e incontri informativi, propagato il culto del Sacro Cuore. Nato il 24 agosto 1876 in una famiglia di contadini che abitava nel Québec dal 1600, iniziò presto la vita di operaio nelle nascenti industrie. Uomo di dialogo e di mediazione, fece parte del sindacato, anche quando fu promosso a cariche dirigenziali nell’azienda. Dopo il matrimonio, l’incontro con padre Leliève lo coinvolse per sempre nell’apostolato tra gli operai. P. Lelièvre disse di avere trovato in lui “un Luigi d’oro” e considerò quell’incontro «come una delle più grandi grazie della mia vita».
Poco prima di morire, il 26 settembre 1949 moriva, a Québec, in una delle ultime conversazioni rivolte a quanti terminavano il ritiro al centro “Gesù Operaio, parlò del breviario che ogni laico poteva recitare:

“Santifichiamoci attraverso i doveri del nostro stato. Se uno ha davvero l’amore di Dio nel cuore, può salutarlo nel corso della giornata, mentre svolge qualsiasi lavoro. Nella vita, questo è ciò che conta.
Il lavoro è il nostro breviario, tutto qui… Ecco il mio breviario: tagliare la legna, guadagnare il pane per la mia famiglia, avere pazienza. Insomma, perché non offrire tutte queste cose? Anche con la pipa in bocca, parla con Dio... Mangiare una mela è bello, ma anche offrirla mentre la mangi, e dire a Dio: Sei Tu che hai fatta questa mela, mangiandola ti farò felice...”.


lunedì 18 aprile 2016

Le carezze di Dio



Nel racconto di apa Pafnunzio che ho pubblicato ieri sul blog, amma Anna parlava delle carezze di Dio.

Ma è vero che Dio usa le sue mani anche per accarezzare?
Proprio così! Lo dice attraverso il profeta Isaia: “Sarete portati in braccio, sarete accarezzati sulle ginocchia. Come un figlio che la madre consola, così anch’io vi consolerò” (66, 12-13). È un modo per esprimere la tenerezza di Dio, che è “pietà e tenerezza” (Sal 111, 4); “La sua tenerezza si spande su tutte le creature” (Sal 145, 9).
In Gesù non è un modo di dire, accarezzava veramente, con le sue mani d’uomo: “li presentavano i bambini perché li accarezzasse” (Mc 18, 31; Lc 18, 15).

Dopo il mio blog di ieri mi è giunto un sms che mi confida: “A te lo posso dire: anch’io sento le carezze di Dio”.


domenica 17 aprile 2016

Apa Pafnunzio nelle mani di Dio


“Nessuno strapperà dalla mia mano le mie pecore”, aveva detto Gesù. “Nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Erano le stesse mani: “io e il Padre siamo una cosa sola”.
Come teneva le mani, Dio?, si trovò a domandarsi apa Pafnunzio. Una domanda strana. Tante volte si ritrovava bambino e le più bizzarre fantasie gli danzavano nella testa calva di vecchio.
Le poggiava a terra come quando egli si prostrava per le metanie davanti all’icona del Pantokrator? Le rivolgeva in avanti come quando egli rimaneva immobile con le braccia alzate e spalancate davanti all’icona della Theotokos?
Gli tornarono alla mente le parole del profeta Isaia: “Ecco, ti ho disegnato sulla palma della mia mano”. La sinistra di Dio doveva essere posata sulla destra, perché su quella aveva tatuato un nome: “Pafnunzio”.
L’apa si smarrì di gioia in questo pensiero: sorretta dalla mano destra, la sinistra di Dio stava sempre davanti i suoi occhi ed egli vi leggeva il proprio nome, lo aveva costantemente sotto i suoi occhi e di continuo lo pensava e lo amava.
Gli salirono dal cuore, seminate nella lenta e prolungata ruminatio, altre parole del profeta: “Ti ho nascosto sotto l’ombra della mia mano”. La mano sinistra, tatuata col nome, rimaneva nella medesima posizione, mentre la destra si muoveva e poggiava sopra la sinistra, a protezione.
Apa Pafnunzio si sentiva non soltanto pensato e amato, sotto lo sguardo paterno, ma pienamente al sicuro, senza che avesse a temere pericolo alcuno.
Adesso erano i salmi che gli tornavano alla mente: “Se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra”; “Io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra”.
Apa Pafnunzio vedeva il braccio di Dio distendersi e la mano sinistra scendere in basso per afferrare la propria mano, piccola come quella di un bambino nella mano grande e forte del papà. Allora si lasciava guidare sicuro e contento, pieno di fiducia.
Gli apparve infine il profeta Geremia a ricordargli: “Come l'argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani”.
Apa Pafnunzio si sentì allora avvolto dalle potenti e delicate mani di Dio che lo lavoravano e lo plasmavano costantemente.
Sì, era nelle mani di Dio. Era in buone mani!

Il giorno seguente si recò al fiume. Sull’altra sponda apparve amma Anna. Le confidò che le mani di Dio giocavano con lui e gli si muovevano di continuo attorno con estrema premura.
“Anch’io”, le confesso amma Anna, “sento la mano di Dio. Con me si muove diversamente, forse perché non ho una barba fluente come la tua. La sua mano mi accarezza”.


sabato 16 aprile 2016

Pellegrinaggio a Roma



Questa mattina ho visto un nutrito gruppo di persone partire in festa da Rocca di Papa diretti a Roma.
Turisti? Pellegrini? Non importa, Roma è sempre un'esperienza che vale la pena d'essere vissuta.
Una volta i pellegrini vi giungevano lungo le vie Romee. Venivano a Roma negli anni santi per venerare le tombe degli apostoli e dei martiri, ed impetrare la loro intercessione per la remissione dei peccati; per professare e ravvivare la fede; per riaffermare il legame con il Papa e il senso della cattolicità nella comunione dei santi.
Oggi, per grazia di Dio, le porte sante si sono moltiplicate e possono essere varcate in tutte le nostre diocesi. Che bisogno c'è di venire a Roma?

Eppure Roma è sempre Roma e il pellegrinaggio continua a conservare un grande valore.
Ci ricorda che siamo sempre in cammino, alla ricerca della verità.
A volte siamo talmente immersi nei problemi di ogni giorno, nelle preoccupazioni della vita quotidiana, che corriamo il pericolo di perdere il senso del nostro vivere. Lavoriamo, studiamo, ci divertiamo, soffriamo… ma perché? Dove stiamo andando?
Il pellegrinaggio ci aiuta ad uscire dalla quotidianità, fuori dagli interessi, dalla fretta, e ci trasporta lontano, ci libera dal contingente nel quale siamo immersi, introducendoci quasi in un altro mondo. 
È come uscire da noi stessi e trovare una nuova libertà, un tempo di ripensamento interiore, che ci aiuta a prendere coscienza che la meta del nostro cammino è ben oltre il piccolo mondo nel quale rischiamo di annegare. 
Il pellegrinaggio è una tappa nel cammino di fede verso il Paradiso che Roma, con la sua bellezza e la presenza di così tanti santi, ci fa quasi pregustare.

venerdì 15 aprile 2016

Santa Bernadette Soubirous, Lourdes e gli Oblati



Fin dagli inizi alcuni Oblati sono entrati a far parte della storia di Lourdes. Tra i tanti, citiamo solo tre fatti più significativi.
1) Nel periodo in cui Bernadette imparò a leggere e a scrivere, incontrò padre Ferdinand Gondrand, che era stato invitato da mons. Laurence a predicare il ritiro dei sacerdoti nel 1860. Questo Oblato, conquistato dalla veggente e persuaso della verità del suo racconto, iniziò con lei una corrispondenza, chiedendole anche un racconto scritto. Nel maggio 1861 quando venne una seconda volta a Lourdes, sempre per predicare un ritiro, Bernadette acconsentì alla sua richiesta con la lettera del 28 maggio 1861: è il primo racconto scritto delle apparizioni. Avendo saputo della morte di mons. de Mazenod, padre Gondrand si era precipitato a Marsiglia. La lettera ritornò così a Bernadette, che la conserverà fino alla morte.
2) Nel 1876 papa Pio IX delegò il card. Guibert, arcivescovo di Parigi per consacrare in suo nome la basilica dell’Immacolata Concezione.
3) Persone di altre nazioni giunsero a Lourdes fin dagli inizi, ma solo nel 1881 vi fu il primo pellegrinaggio nazionale straniero: 300 pellegrini inglesi, tra i quali il duca di Norfolk, guidati da padre Ring, omi. Gli Oblati hanno iniziato a far parte ufficialmente dei Cappellani del Santuario dal settembre 1985, occupandosi specialmente della pastorale dei giovani e di quella internazionale.


giovedì 14 aprile 2016

Nell’Eucaristia il Verbo incarnato resta con noi


Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi (Gv 1,14). È diventato uno di noi e Lui, che è il Figlio unico di Dio, uguale e consustanziale al Padre, ha acconsentito a diventare Figlio dell’uomo (Mt 8,20), ha abitato in mezzo a noi pieno di grazia e di verità (Gv 1,14). Da Lui la natura umana è stata innalzata fino a Dio e gli uomini, uniti a Lui per la grazia, sono stati chiamati a condividere la sua gloria (…) Aveva detto ai suoi discepoli che sarebbe rimasto con loro tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli (Mt 28,20) e questa promessa l’ha realizzata non solo con l’assistenza che continuamente dà alla sua Chiesa, ma anche attraverso la sua reale presenza nei templi che si è scelto perché siano il tabernacolo di Dio con gli uomini (Ap 21,3). (…)
Nell’Eucaristia (…) rimane il giorno e la notte, mai abbandona la dimora che si è dato per rimanere con noi. Nella sua vita immortale non ha mai voluto separarsi dalla creatura umana e così abitare con lei come nel tempo della sua vita umana. Così è presente nella nostra città come nelle campagne, sotto i rivestimenti dorati come sotto i tetti di paglia, nei più ricchi templi del mondo civilizzato come nelle più povere capanne delle contrade selvagge, nei ghiacci del polo come sotto i fuochi dei tropici. Si trova dappertutto dove si trova la sua Chiesa; vuole essere dappertutto dove c’è un’anima umana da amare e da salvare. È accessibile a tutti, sempre pronto a riceverli, a intrattenersi con loro a parlargli interiormente, ad ascoltarli e a riempirli di consolazioni, di benedizioni e di ogni tipo di grazie.

Così insegnava sant’Eugenio ai fedeli della sua diocesi di Marsiglia il 21 dicembre 1859.


mercoledì 13 aprile 2016

La risposta agli Etruschi



In questi giorni la liturgia ci ripropone il discorso del pane di vita rivolto da Gesù ai discepoli e alla folla a Cafarnao.
Chissà perché, leggendo questi vangeli, mi sono venute in mente i reperti etruschi trovati nella mia terra ed esposti nel Museo di Palazzo Pretorio, che ho visitato il lunedì di Pasqua.
La maggior parte delle steli sono funerarie. Ricorrente il tema del viaggio – anche a cavallo – verso gli inferi e del banchetto – non si sa sia quello celebrato attorno alla tomba in ricordo dei vivi o quello che si spera di celebrare nel regno dei morti.
Ciò che maggiormente è rimasto di questo popolo antico sono le tombe e gli oggetti ritrovate in esse, segno della centralità che aveva la morte e il pensiero ossessivo dell’al di là. Eppure sembra che il mondo dell’oltretomba, nelle loro credenze, fosse tenebroso, pieno di mostri, terribile e temuto. Forse proprio per questo si affidavano ai morti ciò che c’era di più prezioso e utile, perché fosse loro di conforto in quel mondo così misterioso, di cui si sapeva troppo poco.

Le parole di Gesù mi sembrano la risposta alle attese degli Etruschi e a quelle di tutti i popoli, di ogni uomo e donna.
Gesù assicura la “vita eterna”, una parola che non dice soltanto una continuità senza fine, ma una qualità di vita, una pienezza di gioia che appaga appieno, in un modo che neppure possiamo immaginare, tanto va al di là di ogni attesa.
È una vita destinata a “tutti”, perché tutti, dice Gesù, sono attirati a lui, fonte di vita – è il “pane di vita” – dal Padre. Tutti!
In proposito: il Vangelo cambia la citazione della Scrittura. In Isaia si dice “Tutti i figli di Dio saranno ammaestrati da Dio”; mentre Gesù dice: “Tutti saranno ammaestrati da Dio”; tutti, non soltanto i figli di Dio, ossia gli Ebrei. Il Padre dà la possibilità a tutti di conoscere chi è Gesù e conduce tutti a lui e in lui tutti possono avere “vita eterna”. Tutti!