sabato 11 marzo 2017

Il Tabor e il Golgota



In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro. (Mt 17,1-9)


Pietro, Giacomo, Giovanni. Gesù li porterà con sé nell’orto degli ulivi. Saranno i testimoni del suo pianto, della debolezza, dell’implorazione che rivolgerà al Padre perché allontani da lui il calice amaro dei patimenti e della morte. Si mostrerai loro tremante, impaurito, angosciato, triste da morire.
Sono gli stessi tre che oggi porta con sé sul monte alto, in mezzo alla piana distesa e ridente di Galilea. Prima di far conoscere le tenebre del Getsemani mostra loro lo splendore del Tabor. Prima di mostrare la sua fragile umanità vuoi far loro vedere la sua radiosa divinità.
Aveva appena detto ai tuoi discepoli che sarebbe andato a morire e che per essere suoi discepoli veri occorre condividere la sua croce. Erano un annuncio e una pretesa troppo crudeli. Non per niente Pietro si era ribellato e per amore di Gesù s’era frapposto tra il Maestro e Gerusalemme, il luogo del suo destino. Così facendo, senza saperlo, s’era opposto al volere del Padre, quasi a dividere Gesù dal Padre. E lo chiamò “satana”, il padre di ogni divisione.
Come poteva comprendere, Pietro? Forse noi capiamo, quando viviamo il dolore e la prova? Perché seguire Gesù in questa assurda via della croce? Perché?
La sua risposta è una sola: Vieni a vedere cosa c’è al di là del dolore, vieni a vedere la gloria della risurrezione. Prima lo chiama “satana” e subito dopo lo porta, con gli altri due, sul monte alto, dove tutto è luce, bellezza, gaudio infinito. I tre vorrebbero eternare l’attimo: “Facciamo tre capanne!”.

Soltanto dopo averci incantato e averci fatto gustare un anticipo di cielo, soltanto dopo averci mostrato la luce e fatto intravedere la bellezza del suo volto, Gesù puoi chiederci di seguirlo, di prendere la croce assieme a lei, di vivere il martirio, quello di spada e quello a colpi di spillo, centellinato giorno per giorno, fatto di ansietà, incertezze, piccoli e grandi dolori, preoccupazioni, solitudine… Quando si è innamorati si possono fare tutte le pazzie e si possono sopportare tutti i patimenti. Senza aver visto il suo volto splendente di luce non lo si può riconoscere nel volto coperto di sputi e di sangue. Senza il Tabor non è possibile affrontare il Golgota.
Per questo nel cammino della Quaresima occorre sempre vedere la meta: la risurrezione.
Sia come sia, il cammino della nostra vita ha un approdo di luce.
Sull’altra sponda ci attende Dio e lo splendore del Paradiso.


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