giovedì 9 marzo 2017

Un patto d'unità tra vescovi


I vescovi in Libano 10 anni fa
I vescovi incontrati oggi
Ho parlato ad una cinquantina di vescovi provenienti da varie parti del mondo. Ho loro raccontato un’esperienza di una decina d’anni fa, quando partecipai per una settimana intera ad un convegno ecumenico di vescovi, in Libano e in Siria: 37 vescovi di 16 differenti Chiese, provenienti da 16 nazioni.
Fu una settimana indimenticabile. A mano a mano che l’incontro progrediva si sentiva crescere la comunione tra tutti, pur nelle diversità linguistiche e culturali, di riti e di Chiese.

Il momento culmine fu l’ultimo giorno, a Damasco. Eravamo appena visitato il Patriarcato siro ortodosso di Antiochia. Sua Beatitudine Mor Ignatius Zakka I Iwas, aveva rivolto a tutti parole di sapienza: “Il mio cuore è pieno di gioia per la vostra visita. Vedo che lo Spirito Santo sta lavorando tra noi tutti (…). La Chiesa è una. Vi sono tante culture, tanti riti, tante espressioni, tante tradizioni ma la Chiesa è una e chi ci unisce tra di noi è Cristo stesso, che è Dio, che è l’amore. L’unità non può esserci senza l’amore, c’è solo con l’amore. (…) Non possiamo amarci a vicenda se non ci riconosciamo gli uni gli altri (…). Nell’unità fra di noi diamo gloria a Cristo che vuole che noi siamo uno in lui”.


Adesso i vescovi erano sulla famosa via verso Damasco, nel luogo della chiamata e della conversione di san Paolo. Lessero l’inno alla carità di Paolo in aramaico, greco, inglese, francese e recitarono il credo degli Apostoli in greco. Poi accadde qualcosa che vedevo per la prima volta: fecero tra loro un patto, promettendo di amarsi al punto da essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro, proprio come aveva chiesto Gesù ai primi Vescovi, gli apostoli, riuniti nel Cenacolo.
Poi i Vescovi cominciarono ad abbracciarsi gli uni gli altri. I fedeli presenti esplosero in un canto di gioia e scesero in mezzo a loro per esprimere la gratitudine per un gesto così evangelico e così audace. Fu una festa.

Chissà come sarebbe stato contento Sant’Eugenio de Mazenod, il mio fondatore, se quel giorno fosse stato con me a Damasco. Egli fu vescovo di Marsiglia per una trentina d’anni, a metà dell’Ottocento. Il porto della città era un passaggio obbligato per tanti vescovi che andavano a Roma. Sant’Eugenio li ospitava nella sua casa e con alcuni instaurò legami profondi, che spesso hanno portato anche frutti concreti per l’opera missionaria. A volte la comunione si faceva così intensa che i due Vescovi stipulavano un vero patto scritto, controfirmato da entrambi, con il quale si impegnavano a vivere l’uno per l’altro.

I vescovi non hanno l’esclusiva nel creare un legame d’amore tra di loro. Lungo la storia della Chiesa vi sono esempi illustri al riguardo.
Basterebbe ricordare i legami che univano Gregorio Nazianzeno e Basilio di Cesarea (che pure erano vescovi), Guglielmo di Saint-Thierry e Bernardo di Chiaravalle, Chiara d’Assisi e Agnese di Praga, Francesco di Sales e Giovanna di Chantal, Margherita Maria Alacoque e Claude La Colombière, Hans Urs von Balthasar e Adrienne von Speyr.
Come non pensare al voto dei primi compagni di Ignazio, a Montmartre a Parigi. Pietro Favre, ricordando quel momento annota: «Divenimmo una cosa sola nei desideri, nella volontà e nel fermo proposito di scegliere la vita che ora viviamo tutti noi».

I vescovi non hanno l'esclusiva, ma chi impedisce anche a loro di stringere tra loro simili legami di comunione? Così oggi, dopo aver continuato la mia conferenza, ho proposto loro il “patto d’unità”. Ci sono stati…

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