venerdì 10 marzo 2017

Vendetta Corsa e pace oblata


La prima volta che andai in Corsica – avevo 16 anni – mi impressionò vedere come souvenir coltelli con scritto sulla lama “Vendetta corsa”. La vendetta era proprio un dato culturale.
Quei coltelli mi sono tornati in mente questi giorni leggendo un vecchio libro del 1941, XIX dell’era fascista, scritto da un fecondo autore Oblato, p. Giovanni Lingueglia: Un pioniero del Vangelo nell'isola di Ceylon.
È la storia di un grande Oblato, padre Stefano Semeria, fondatore della missione del Ceylon a metà del 1800, presto diventato vescovo.
Essendo italiano, ligure, una volta entrato dagli Oblati, de Mazenod lo mandò tra i lavori italiani immigrati a Marsiglia e poi in Corsica. Qui si diete alla predicazione delle missioni al popolo.
Leggo di una famosa missione, predicata a Sari d’Orcino, dove erano stati commessi omicidi, e il sangue versato aveva scavato un abisso insormontabile tra due partiti.

«Gli uomini di ambo le parti erano armati fino ai denti; le donne e i fanciulli si chiudevano nelle loro case, barricando porte e finestre. Per le strade ad ogni pie’ sospinto s’incontravano bande armate, anelanti vendetta. Una minima scintilla sarebbe bastata ad appiccare il fuoco alle polveri, provocando un’esplosione generale».
Così padre Semeria, “dal fare amichevole, dal tatto delicato”, inizi la opera di pacificazione.
«Durante quasi un intero mese, scriveva P. Semeria, non abbiamo goduto un solo istante di riposo. Tutti, ricchi e poveri, amici e nemici alla fine non hanno avuto più che un pensiero: riconciliarsi con Dio e por termine una buona volta ai loro funesti dissensi».

Andò fino nella fitta boscaglia, per trovare uno dei più temibili banditi. I membri del clan avversario non ardivano recarsi alla chiesa, per paura di questo bandito.
«Non appena il bandito scorse P. Semeria, che gli andava incontro, col Crocefisso alzato in mano, si fermò stupefatto, conquiso da quell’aria di santità che irradiava dal viso del coraggioso Missionario. Egli butta a terra fucile, pistole e pugnale; distende sul suolo, a guisa di tappeto, il suo pellone - specie di drappo intessuto con peli di capra - e invita il Padre a sedersi. La conversazione fu lunga, ma fruttuosa… Il bandito finisce col promettere che, qualora non si tiri su di lui, neppure egli tirerebbe sugli altri, sarebbe financo andato ad assistere agli esercizi della missione e, se i suoi nemici gli avessero perdonato, egli pure avrebbe perdonato».
La pace fra tutti fu sancita da un trattato di pace vero e proprio. Il giorno della Comunione generale degli uomini, in presenza del Vescovo diocesano venuto per presiedere alla solenne cerimonia, padre Semeria dal pulpito lesse il trattato di pace e ne commentò uno per uno gli articoli. I due capi si avvicinano all’altare per apporre la loro firma al trattato, e giurano sui Santi Vangeli di volerlo osservare sino alla morte. Prima di essere ammessi alla Comunione, si abbracciarono pubblicamente.
La folla elettrizzata, a questo spettacolo, fu presa dall’entusiasmo e cominciò ad abbracciarsi a sua volta. Per più di una mezz’ora si continuò a gridare: «Evviva la pace, evviva la pace!..». Le campane suonavano a festa…

Vale la pena leggere queste belle storie di una volta. Potrebbero essere di ispirazione anche per l’oggi.



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