domenica 11 giugno 2017

Celso e Celsa


Tutti conosciamo Celso. Abbiamo studiato insieme, poi lui è diventato un missionario vero, di quelli che convertono villaggi interi. Da ormai quarant’anni è in Africa: Camerun, Senegal, Guinea Bissau.
L’ho sempre invitato a scrivere le esperienze che mi raccontava. Ha così pubblicato I racconti di Fonjumetaw. Ma ha ancora tanti racconti nel cassetto, come questo, scritto 11 anni fa. Lo sintetizzo brevemente perché mi ha appena mandato una foto di questi giorni che riguarda quell’esperienza.

Arrivato a Farim, alla fine del 2003, dedicavo delle mezze giornate a visitare le famiglie cristiani. Un giorno, visitando un quartiere nella parte nord-est, chiamato Bangladesh, arrivai in una casa dove abitava un certo Faustino, che conoscevo perché lavorava nella falegnameria della parrocchia. Guardando i vari quadri appesi alle pareti, ne notai uno che ritraeva un matrimonio nella nostra chiesa.
“Chi sono questi due?”.
“Siamo io e mia moglie. Ci siamo sposati in chiesa  5 anni fa”.
“E tua moglie dov’è?”.
“E’ andata via, da tre anni. Mi ha lasciato solo, a badare ai tre bambini”.
 “Perché se ne è andata?”.
“Non lo so. Sono tre anni che soffro per badare ai miei figli”.
“Dove si trova ora?”.
“A Bissau, ma non conosco la sua casa. Da quanto mi è stato detto, dovrebbe abitare con alcuni suoi famigliari, nel quartiere di Santa Lucia”.

Da buon fabulatore Celso continua il suo racconto ricco di particolari. La sua ricerca di Salé, la moglie di Faustino, giunge a buon fine. Viene così a sapere che ha lasciato il marito perché dedito all’alcool e violento…
Le trattative sono lunghe, sia per convincere Salé a tornare dal marito, sia per convincere Faustino a farsi curare in un centro di disintossicazione.

Dopo i molti incontri Salé mi disse che sarebbe stata disposta a tornare, a patto che l’aiutassi a portare a casa tutte le masserizie che aveva accumulato durante il periodo passato a Bissau.
E così ogni volta che andavo a Bissau, ne approfittavo per fare un “carico” di materiale dalla casa di Salé. In verità il materiale non era tutto nella stessa dimora, ma ne aveva un po’ dappertutto, nei vari quartieri di Bissau. Questo causava perdite di tempo e lavoro supplementare Ma ormai mi ero messo in gioco e non volevo tirarmi indietro. Vedendo arrivare il materiale, Faustino non sapeva come esprimere la sua gioia e la sua riconoscenza. La speranza cominciava a diventare realtà.
Non ricordo quanti viaggi ci siano voluti per portare a casa quanto Salé mi chiedeva. Non facevo naturalmente un viaggio a Bissau solo per questo (Farim dista da Bissau 120 km, e metà della strada non è buona), ma approfittavo quando dovevo andare per incontri in Curia o per delle spese, per prendere quello che potevo da parte di Salé.
Arrivò finalmente l’ultimo viaggio, quello nel quale sarebbe venuta anche Salé. Questa volta la macchina era più carica del solito. Faustino ne era naturalmente al corrente, ed era in grande agitazione. Quando arrivammo a Farim, lo incontrammo al di qua del grande braccio di mare, largo quattrocento metri, che divide Farim dal resto della Guinea Bissau. Era già notte e quindi non si potevano vedere le espressioni dei volti, ma sarà stato certamente un momento particolare!
Caricammo tutto sulle canoe che fanno trasporto da un lato all’altro. E di là c’erano alcuni asinelli con le loro carrette. Non sono andato a casa con loro, ma mi riferirono che tutto il quartiere era in attesa di Salé e che quella sera è stata una grande festa.
Iniziò così un vita nuova per Faustino, Salé e famiglia.
Faustino cominciò la cura, ritornò a casa e non si dette più all’alcool. La famiglia cresceva così in pace e serenità, anche se a volte qualche piccolo problema faceva capolino. Ma si superava. La gente di Bangladesh diceva che questo era un esempio per tutti.
Ci fu un incontro di famiglie a livello diocesano. Ogni parrocchia doveva mandare una coppia. Pensammo a Salé e Faustino! Andò molto bene. Anche in parrocchia avevamo delle celebrazioni di tanto in tanto. Salé era sempre disponibile ad aiutare. E ci sapeva fare! Ogni volta che c’era qualche programma speciale, si poteva contare su di lei. Essendo anche una persona istruita, conosceva il protocollo, sapeva trattare con le autorità, mettere ognuno al suo posto… Insomma per la parrocchia era un grande aiuto.
Alla fine di maggio del 2006 andai a casa di Faustino e Salé per un saluto. Salé stava aspettando un bambino. Mi disse: “Se questo bambino sarà un maschio, lo chiamerò Celso, altrimenti… Celsa!”.
In giugno noi Missionari Oblati della Guinea e del Senegal andammo tutti a Dakar per la nostra riunione di fine anno. Io poi avrei continuato per le vacanze in Italia, avendo passato già tre anni in missione. Dopo alcuni giorni a Dakar, mentre stavo al computer collegato a Internet, il segnale di Skype mi diceva che qualcuno stava chiamando. Era P. Marco, da Bissau. La notizia era terribile: “Salé è morta! Ha avuto problemi durante il parto. Quando si sono decisi a portarla a Mansoa, era troppo tardi. E’ morta per strada”.

Dopo il mio ritorno dall’Italia un giorno si presentò alla missione una donna piuttosto anziana con una bambina in braccio. La salutai, ma non sapevo chi fosse. Mi disse:
“Ecco Celsa, io sono la nonna, e mi occupo di lei”.

Il racconto di Celso molto più ricco di particolari. L’ho riletto, sintetizzandolo e privandolo di quell’afflato proprio del narratore, perché Celso ieri mi ha mandato la foto che lo ritrae assieme a Celsa, oggi una ragazzina di 11 anni.


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