mercoledì 11 ottobre 2017

Eugène de Mazenod e Antonio Rosmini


Sul Bollettino rosminiano “Charitas” (XCI, 8-9, agosto-settembre 2917, p. 224-227) è apparsa la seconda parte di un articolo di Ludovico Maria Gadaleta dal titolo Rosmini e i religiosi fondatori del suo tempo, dedicata a Eugenio de Mazenod.

Inizia riportando il giudizio che sant’Eugenio espresse nei confronti del fondatore dei Rosminiani: «A Stresa ho fatto conoscenza col celebre abate Rosmini, uno degli uomini più dotti dell’Italia... Egli accoppia una grande pietà e un’alta intelligenza: il suo zelo è pari al suo talento». L’articolo continua: «Mazenod conosce già di fama Rosmini ed è amico di lunga data di J.-B. Loewenbruck: i due sacerdoti si sono incontrati nel 1820 nel predicare la grande missione popolare di Marsiglia e il Mazenod, una volta vescovo, chiamerà spesso il prete lorenese a predicare e lo farà canonico onorario della cattedrale. Dal canto suo, il Loewenbrueck, nel 1838, proporrà al Mazenod che gli OMI prendano il posto dei rosminiani che si stanno ritirando dall’abbazia di Tamié, ma il progetto non decolla per l’opposizione dell’arcivescovo di Chambéry. Nel 1860 egli cederà la propria casa di Angers agli oblati per formarvi una comunità, riservandosi una stanzetta e vivendo con essi fino alla propria morte».

J. B. Loewembruck, per i conoscitori di Rosmini, è una figura molto nota, meno per quelli di sant’Eugenio. Ce lo presenta il nostro grande Yvon Beaudoin: «Della diocesi di Metz, aveva sempre predicato con successo, soprattutto nelle missioni parrocchiali. Nel giugno 1827, passando a Milano, aveva incontrato Rosmini. Scoprirono di avere preoccupazioni comuni: la fondazione di una società per il miglioramento del clero. Molto rapidamente si misero insieme per porre le prime fondamenta, a Domodossola, dell’Istituto della Carità. La collaborazione non fu facile. Loewenbruck era pieno di ardore, sempre guardava avanti; Rosmini, al contrario, si rimproverava per le sue lentezze. Loewenbruck non si trovava mai dove si pensava che fosse, il suo focoso temperamento di missionario itinerante prendeva sempre il sopravvento. Fondò i rosminiani, ma rapidamente abbandonò la carica nelle mani di Rosmini che non vi era portato e che, nonostante se stesso, dovette assumerne la responsabilità. I rosminiani arrivarono all’abbazia di Tamié nel 1835 sotto la direzione di Loewenbruck; ma, nel 1838, questi ruppe con l’arcivescovo e abbandonò la Savoia. Si allontanò anche da Rosmini e dall’Istituto della Carità. Allora Rosmini restituì Tamié alla diocesi. Essendo amico di mons. de Mazenod, si capisce perché, dal 1838, Loewenbruck gli consigliò di proporre all’arcivescovo la disponibilità degli Oblati. P. Tempier, nell’ottobre del 1838, andò a visitare l’abbazia (cf. Diario, 16 ottobre 1838), ma il vescovo non voleva affidarla a francesi».

Dopo aver ricordato alcuni momenti della vita di sant’Eugenio l’articolo continua con il confronto tra de Mazenod e Rosmini:
«Anche la pietà mariana unisce i due santi fondatori: se il Mazenod dedica all’Immacolata la sua nuova congregazione, Rosmini ottiene da Roma il permesso di poter aggiungere l’invocazione “Regina sine labe originali concepta” alle litanie lauretane e la menzione dell’Immacolata Concezione al prefazio della Messa votiva della Vergine Maria. Pio IX, nelle consultazioni per proclamare il dogma del 1854, richiede proprio il parere di Rosmini, conoscendone la profonda devozione alla Madre di Dio.
Spinto dalla medesima devozione, il Mazenod - dal 1832 vescovo di Marsiglia - nel 1842 intraprende un pellegrinaggio a Torino per venerare la Sacra Sindone e visitare i santuari mariani del regno Sardo, particolarmente Vico di Mondovì, Oropa e Re in val Vigezzo: scende poi a rivedere Milano, Monza, Verona e Padova, e nel tragitto dall’Ossola al Ticino si ferma a Stresa, ospite di madama Bolongaro.
La Bolongaro ha da poco donato a Rosmini un appezzamento sulla collina del paese, detto “al Ronco”, e qui Rosmini fa costruire una casa religiosa, ove intende trasportare noviziato e scolasticato, ed una chiesa: demolita la primitiva e angusta cappella di san Carlo, insufficiente ai bisogni della crescente comunità, egli edifica un nuovo spazioso oratorio che serve anche ai fedeli locali. Nel 1845 Rosmini darà principio alla fabbrica del nuovo grande santuario, in onore del SS. Crocifisso, che verrà solennemente consacrato nel 1851 e che ospita tuttora le venerate spoglie del Beato e di Clemente Re bora.
L’altar maggiore del piccolo oratorio, tutto di marmo bianco (che verrà poi trasferito nel nuovo santuario), è munificenza della Bolongaro: l’11 giugno 1842 il Mazenod, con solenne pontificale, vi pone le reliquie dei santi e lo consacra alla Santa Famiglia di Nazareth, alla presenza di Rosmini, del vicario capitolare mons. Pietro Schiavini (che regge la diocesi dopo la morte del card. Morozzo) e di una folta schiera di sacerdoti, religiosi, chierici e novizi. Don Giuseppe Toscani, segretario del Rosmini, compone per la circostanza un’ode poetica in cui esalta «l’alma pietà, la fede, l’ardor che in volto spira» il Mazenod, considerato all’epoca uno dei più noti e venerati esponenti dell’episcopato francese, e i novizi la cantano durante la cerimonia.
Il Mazenod si trattiene in casa Bolongaro due settimane ed ha quindi modo di conoscere bene Rosmini, il quale lo accompagna anche a visitare il Calvario di Domodossola: il giudizio da lui espresso circa il Beato è, dunque, ben ponderato e dovuto a conoscenza approfondita, oltre che a quelle affinità reciproche che nascono fra i Santi quando s’incontrano fra loro».

Vale la pena leggere per intero la pagina di diario del 3 giugno di san’Eugenio:
Fermata a Stresa, sulle rive del Lago Maggiore, stati sardi, dove si trova il noviziato dei Rosminiani. È qui che ho conosciuto il celebre abate Rosmini, uno degli uomini più istruiti d’Italia, fondatore della congregazione della Carità. Le sue opere filosofiche, poco conosciute in Francia, fanno epoca in Italia. Il papa ha incoraggiato l’autore a continuare un lavoro così utile per la religione. Nel suo portafoglio ha materiale per 30 volumi in-8. L’abate Rosmini unisce una grande pietà e un’alta intelligenza. Il suo zelo uguaglia il suo talento. La sua congregazione comincia già ad espandersi in Inghilterra dove fa del bene. Non è molto numerosa in Italia. A Stresa si è appena costruita, in un posto affascinante, la casa del noviziato, a metà costone di una altura che domina tutto il lago. Vi ho consacrato l’altare costruito a spese della signora Bolongaro Borghese.

All’articolo di Ludovico Maria Gadaleta possiamo aggiungere altri due particolari che confermano la stima e l’ammirazione di sant’Eugenio per Rosmini.

In una lettera scritta proprio da Stresa, il 9 giugno 1842, a p. Tempier lamentandosi di una comunità «i cui membri scrivono dappertutto nel mondo per dire magari quel che dovrebbero tacere, mentre io sono il solo a non sapere quello che li avviene», porta come esempio i Rosminiani: «I superiori della congregazione di cui ho parlato [i Rosminiani appunto] ogni tre mesi rendono conto al superiore generale di quel che avviene nelle loro case. Non si possono concepire le cose diversamente», riducendo «l'obbedienza a una obbedienza meccanica, senza merito, a cui ci si sottrae anche facilissimamente con gran danno del buon ordine e dell'unità».

Inoltre, tornando a Marsiglia sant’Eugenio portò con sé parecchie opere di Rorsmini, come appare da una lettera indirizzata da Ginevra pochi giorni dopo, il 17 giugno, a p. Tempier. In essa, lo prega di salutare affettuosamente p. Mille «come anche il p. caro Aubert a cui porto parecchie opere filosofiche del celebre Rosmini. Bisognerebbe che in Francia qualcuno si penetrasse delle sue dottrine e le facesse conoscere con una buona traduzione. Il Papa incoraggia l’autore e parecchie università d’Italia hanno adottato il suo insegnamento».


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